Escursioni – La grotta del Cervo

Inauguriamo questa nuova rubrica in cui racconterò viaggi ed esperienze legate al mio campo di studi nonché passione per le Scienze Naturali, insomma una rubrica “blog” nel vero senso del termine.

La prima esperienza di cui parleremo sarà un’escursione in una caverna carsica situata in Abruzzo (molto vicino al confine con il Lazio) in una frazione del comune di Carsoli, all’interno della regione chiamata Marsica che è anche la patria dell’orso marsicano (Ursus arctos marsicanus).

100_3542
Concrezioni coralliformi

La grotta

La grotta del Cervo ha una particolarità che la rende molto interessante: non è equipaggiata per i turisti e quindi i principianti possono calarsi nel meraviglioso mondo della speleologia. Inoltre l’assenza di luci artificiali (a parte quelle sui caschi) permette di apprezzare come sia davvero l’ambiente carisco ipogeo: buio e silenzioso, con il gocciolio o il fruscio dell’acqua come unici rumori.

Stalattiti e stalagmiti, sempre calcare

Prima di calarci nell’avventura è bene fare un piccolo approfondimento sul carsismo: si dice carsismo un insieme di fenomeni di erosione e deposizione di tipo chimico che si verificano su rocce carbonatiche in climi abbastanza umidi. L’acqua leggermente acida riesce a corrodere il carbonato di calcio della roccia secondo la reazione:

CaCO3 + H2O + CO2 = Ca(HCO3)2

Ossia si forma un sale molto solubile chiamato bicarbonato di calcio, il quale può riprecipitare sotto forma di carbonato di calcio e anidride carbonica in caso di variazione di pressione o temperatura (il bicarbonato di calcio è più solubile in acque fredde). Questi processi provocano lo smantellamento delle rocce carbonatiche in superficie (con la formazione di strutture caratteristiche come le doline)  e la deposizione di carbonato nelle cavità del terreno dove il esso riprecipita a causa dell’aumento di pressione e della diminuzione di temperatura, formando le famose stalattiti e stalagmiti insieme ad altre strutture che nell’insieme sono dette concrezioni, che impiegano tempi lunghissimi per crescere: migliaia o a volte milioni di anni! Le caverne vere e proprie, invece, sono scavate dall’acqua in punti dove le rocce sono più deboli rispetto a quelle circonstanti.
In Italia il carsismo è molto diffuso e lo si può trovare per esempio in Friuli Venezia Giulia (il vero Carso da cui il fenomeno prende il nome), in Abbruzzo, nelle Marche, in Puglia e nel Lazio.

La prima cosa fatta all’arrivo è stato il pagamento del biglietto d’ingresso, che dà diritto all’attrezzatura e alla guida di un esperto. L’attrezzatura fornita era composta da un casco con luce da speleologo e da dei guanti isolati simili a quelli usati dagli elettricisti. Sono necessari anche dei vecchi scarponi, pantaloni e un impermeabile; è fondamentale che non siano indumenti di valore perché durante l’escursione si bagnano e sporcano di sedimenti (fango).
Devo ammettere che anche io mi sono chiesto a cosa servissero i guanti, poi dentro la grotta è stato chiaro: non essendoci le passerelle per i turisti, in alcuni punti è necessario arrampicarsi e sorreggersi sulle concrezioni, che NON si devono mai toccare con le mani: la pelle è perennemente ricoperta di sostanze grasse che al contatto aderirebbero alla concrezione bloccandone per sempre la crescita. Usando dei guanti, invece, il problema non si pone e si evita di arrecare danni alle stesse.

Un po’ di storia

La grotta di Pietrasecca è poco consciuta e poco studiata (cosa che ha contribuito a mantenerne intatta la bellezza) perché il suo ingresso è rimasto per secoli ostruito da tonnellate di fango originate da una frana. In base ai ritrovamenti di monete di epoca romana si sa che la caverna era conosciuta durante l’Antica Roma e che quindi deve essere stata ostruita in tempi abbastanza recenti, cosa confermata dal ritrovamento di una moneta risalente all’anno 1495 nel sedimento che ostruiva l’ingresso, la quale permette di datare il seppellimento intorno all’inizio del XVI secolo. L’ingresso fu riscoperto casualmente negli anni ’80 del XX secolo da un gruppo di speleologi che cercavano di accedere a un ramo di un altro sistema di grotte presente lì vicino. Invece scoprirono un sistema completamente nuovo! La speleologia ha una grossa componente di fortuna, in effetti.

100_3506
Ingresso delle grotte

I sedimenti che ostruivano l’ingresso sono stati rimossi per ricavare un accesso, poi è stata installata una porta che mantiene isolato dall’esterno l’ambiente ipogeo che è rimasto sigillato per secoli; la porta serve anche a evitare che persone non autorizzate possano entrare perché gironzolare in una caverna può essere molto pericoloso.

Come si può ben vedere, il “percorso per i turisti” è un tappeto posato a terra e l’ingresso è decisamente poco agevole, infatti bisogna chinarsi e passare sotto a delle grandi concrezioni visibili sullo sfondo. Tutto questo contribuisce a rendere le grotte poco antropizzate e ancora più affascinanti del solito.

Un buio assoluto

Una cosa che difficilmente si riesce ad apprezzare nelle grotte attrezzate è l’oscurità, che è la condizione naturale delle caverne: è un buio difficile da immaginare, così nero da sembrare quasi solido, non si vede assolutamete nulla!

Fermarsi subito dopo l’ingresso e spegnere le luci per un paio di minuti non serve solo ad apprezzare l’intensa oscurità e la tranquillità dell’ambiente, ma permette anche agli occhi di abiturarsi al buio in modo che le tenui luci dei caschi siano più che sufficienti per vedere dove si va.

Vediamo ora una breve carrellata di immagini, ci soffermeremo poi sulle più interessanti.

Nel centro dell’immagine si vede una stalattire tubolare, è molto raro che diventino così lunghe per via della loro delicatezza che le fa rompere facilmente.

Una particolarità della grotta di Pietrasecca è il colore delle concrezioni: quelle più antiche sono di colore giallo o panna, perché la calcite è “inquinata” da piccole tracce di altri minerali. Le più recenti, invece, sono di calcite pura e sono candide come lo zucchero. Questo si vede molto bene nella seguente immagine:

100_3557

Le strie bianche sono inclusioni di calcite recente, depositata dall’acqua che scorre nelle fratture di roccie più antiche dal colore più scuro.

Nelle grotte carsiche sono molto comuni gli specchi d’acqua, la quale è ricca ioni carbonato in soluzione. Se l’acqua si trova a contatto con delle concrezioni, gli ioni si depositano sui cristalli già formati facendoli crescere. Questo fenomeno porta alla formazione di coralliformi (la prima fotografia dell’articolo) oppure di grandi e spettacolari cristalli:

altro 075

Questa vasca attualmente secca è piena di enormi cristalli; si vede molto bene il limite dove arriva il livello dell’acqua, infatti sopra di esso i grandi cristalli sono del tutto assenti.

Abbiamo detto prima che l’ingresso è stato ostruito da una frana intorno all’anno 1500, infatti prima di quell’evento la grotta era abitata da una colonia di pipistrelli che si sono ritrovati intrappoltati in seguito alla chiusura dello sbocco sull’esterno.

100_3532

Quelli nel centro dell’immagine sono i resti di un pipistrello; il materiale giallino è costituito da ossa mentre la parte scura sono i resti mummificati dei tessuti molli dell’animale.
Oltre ai pipistrelli sono stati ritrovati anche resti di Panthera leo spaelea (leone delle caverne) e di Ursus spelaeus (orso delle caverne), entrambi estinti da oltre 10.000 anni (Pleistocene), essi sono un’ulteriore prova del fatto che l’occlusione dell’ingresso è un avvenimento recente.

Purtroppo la seguente è l’ultima immagine della mia avventura:

100_3592

Il gruppo ha dovuto guadare uno specchio d’acqua e io ho avuto la sfortuna di passare per ultimo. Dico sfortuna perché il passaggio degli altri componenti del gruppo ha alzato i sedimenti depositati sul fondo del laghetto intorbidendo l’acqua, col risultato di nascondere una specie di gradino che io non ho visto e sul quale sono incianpato. Mi sono così fatto un bel bagno fino al collo nell’acqua gelida della grotta e la fotocamera insieme a me, quindi non ho potuto immortalare il punto in cui siamo giunti alla fine che era anche il più bello.

La fine del viaggio

Dopo aver letteralmente strisciato all’interno di un piccolo pertugio semiallagato in cui si passa a malapena (del quale mi dispiace non avere immagini), siamo giunti in cima a una cascata sotterranea che dà su un abisso di circa quindici metri di profondità. Oltre non siamo potuti proseguire perché è rischiesta una certa esperienza di speleologia e di scalate, in quanto è necessario calarsi lungo la parete rocciosa ed è pericoloso farlo senza un minimo di pratica.
Da lì siamo tornati sui nostri passi fino alla superficie: all’andata sono stati ottocento metri e altrettanti al ritorno per un totale di 1,6 chilometri percorsi sottoterra. La grotta continua per altri due chilometri circa dal punto della cascata e non mi dispiacerebbe affatto continuare oltre una volta acquisita maggiore esperienza.

In definitiva, se non vi dispiace bagnarvi e sporcarvi, e se non siete claustrofobici, questa è un’esperienza che consiglio assolutamente!

Ivan Berdini

Zoologo e appassionato di fotografia