Il mondo delle formiche 4 – Lo schiavismo

La scorsa volta abbiamo parlato del parassitismo sociale e delle sue molteplici forme, ma lo schiavismo è stato solo accennato. Dato che è la forma più affascinante, ho deciso di dedicarle un intero articolo.

Schiaviste della specie Polyergus lucidus, tipica del Nord America
(By James C. Trager – Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=29643720)

Schiavismo o dulosi

Lo schiavismo, o più propriamente dulosi, è una forma di parassitismo sociale per certi versi simile al parassitismo temporaneo (vedi articolo precendente). Condivide con quest’ultimo la fondazione dipendente della colonia: la regina parassita penetra in una colonia già avviata di una delle specie adatte a fungere da ospite, ne uccide la regina originaria e ne assume il controllo facendo allevare alle operaie le larve che nascono dalle proprie uova. La differenza sta in ciò che avviene dopo, infatti le operaie della specie schiavista hanno morfologia ed etologia particolari: sono del tutto inattive e non partecipano affatto alla gestione della colonia (ricerca di cibo, costruzione di nuove gallerie, manutezione di quelle esistenti, cura della covata), anzi non fanno assolutamente niente. Addirittura si fanno imboccare dalle operaie ospiti (le “schiave”) e non si nutrono da sole.

Anche le colonie dulotiche sono soggette allo stesso problema di quelle “parassite temporanee”: le operaie originarie si esauriscono per la normale senescenza, ma le operaie schiaviste non lavorano o non possono farlo per la particolare morfologia delle mandibole (vedi oltre). L’unica cosa che possono fare è cercare nuove operaie e quindi entrano in azione: escono dal proprio nido e iniziano a pattugliare l’area circostante finché non trovano una colonia della loro specie ospite, poi tornano a casa per organizzare un “raid”, che è forse il comportamento più stupefacente tra tutti quelli delle formiche. Consiste in un vero e proprio attacco da parte di un contigente di operaie schiaviste che rapiscono pupe e larve della specie ospite per aggiungerle alla forza lavoro della propria colonia, in pratica per acquisire nuove “schiave”.

Le fasi del raid schiavista

Anche se il modo di condurre raid può cambiare da specie a specie, tutti si articolano in quettro fasi principali:

  1. Ricognizione: un’operaia schiavista perlustra il terreno intorno al proprio nido per cercarne uno della specie schiavizzata.
  2. Reclutamento: l’operaia che trova un nido adatto torna a casa e segnala la scoperta alle compagne in vari modi, a seconda della specie.
  3. Combattimento: le schiaviste penetrano nel nido “vittima” e compiono il raid vero e proprio. Il tipo di combattimento varia in base alla specie.
  4. Trasposto della covata: gli incursori tornano a casa trasportando la covata (larve e pupe, a volte anche uova) del nido assaltato.

La fase di ricognizione non presenta grosse differenze inter-specie, in fondo esiste un solo modo per perlustrare i dintorni.

La fase di reclutamento invece è più variegata. La schiavista che torna al nido dopo aver individuato un bersaglio deve comunicare alle sue sorelle dove andare, in alcune specie questo avviene con il “tandem running”, cioè la schiavista autrice della scopera spinge una sua sorella fino al bersaglio e poi tornano indietro tutte e due per portare ognuna un’altra formica nello stesso modo. L’attacco vero e proprio inizia quando il numero di schiaviste ammassate intorno al bersaglio è sufficiente a vincerne la difesa. Altre specie usano un metodo simile ma che consiste nel prelevare una sorella e trasportarla di peso fino al bersaglio. Altre ancora utilizzano un metodo di reclutamento chimico che prevede l’emissione di un feromone che induce le schiaviste a formare un contigente che segue l’esploratrice fino al bersaglio.

La particolare morfologia delle schiaviste

Una volta completato il reclutamento in una delle modalità appena citate, inizia la fase del “combattimento” e quindi l’attacco vero e proprio. Le tecniche di combattimento variano in base alla specie, dato che ognuna ha un differente “equipaggiamento bellico”. Le specie dei generi Polyergus e Strongylognathus hanno delle mandibole a forma di sciabola, prive dei dentelli tipici di tutte le altre specie di formica.

Mandibole di Polyergus, esemplare conservato (da antweb.org, © 2017 California Academy of Sciences. All rights reserved)

Questo le rende del tutto inadatte per gli utilizzi classici (come scavo, trasporto o taglio) ma le rende delle ottime armi, che le formiche usano per perforare le teste delle sentinelle della colonia bersaglio. Le Polyergus possiedono anche una ghiandola di Dufour (situata nell’addome) molto più grande del normale, che usano per diffondere grandi quantità di feromoni di allarme che provocano il panico nelle sentinelle e fandole fuggire, in modo da ridurre i combattimenti al minimo.

Mandibole di Strongylognathus, esemplare conservato (da antweb.org, © 2017 California Academy of Sciences. All rights reserved)

Altre specie, come quelle dei generi Myrmoxenus, Chalepoxenus e Lepthotorax, sono specializzate nel combattimento con i pungiglioni che infatti sono più grandi rispetto alla norma delle formiche. Essendo strettamente imparentate con le vespe, anche le formiche sono dotate di un pungiglione (il termine corretto sarebbe aculeo) derivato dall’ovopositore delle femmine. Molte specie tra le formiche tuttavia hanno perso il loro aculeo nel corso dell’evoluzione, pur avendo mantenuto delle ghiandole velenifere.

Anche la specie Harpagoxenus ha delle madibole specializzate, ma non vengono usate per perforare le teste: data la loro conformazione simile a forbici, esse vengono usate per tagliere le teste o le appendici delle sentinelle.

Le “schiave” si integrano nella loro nuova casa

Una volta neutralizzata la resistenza della colonia bersaglio, ha inizio la quarta e ultima fase del raid: il trasporto della covata trafugata (vedere l’immagine di apertura). Le operaie schiaviste di solito prendono ognuna una pupa di operaia, ma anche le larve sono bene accette. Capita spesso che vengano prelevate anche uova o larve di sessuati a scopo alimentare. Non tutte però giungono vive a destinazione, dato che le mandibole di alcune specie schiaviste sono più adatte al combattimento che al trasporto. La scelta della specie schiava non è casuale: sebbene ogni schiavista possa parassitare più di un’ospite, la specie bersaglio scelta è sempre la stessa che ha costruito il nido che la regina ha usurpato durante la fondazione della colonia.

Gli esemplari che svarfallano dalle pupe trafugate vengono integrati nella forza lavoro colonia schiavista e si occupano della sua gestione. Bisogna dire però che non si tratta di una vera e propria schiavitù, infatti le formiche “rapite” vivono nella loro nuova casa esattamente come sarebbero vissute nella loro colonia originaria, svolgendo gli stessi compiti. Per questo motivo molti mirmecologi (gli zoologi specializzati nello studio delle formiche) ritengono il termine “schiavismo” impreciso e preferirebbero sostituirlo col termine tecnico corretto dulosi, che indica proprio questo tipo di parassitismo.

Come si è evoluto lo schiavismo?

Nessuno sa come questo bizzarro comportamento si sia evoluto, gli esperti ritengono che sia comparso indipendentemente più volte seguendo differerenti percorsi evolutivi. Uno di essi potrebbe partire dalla poliginia, ossia la tendenza di alcune specie ad accettare all’interno della colonia delle regine appena fecondate e provenienti da altre colonie, che si integrano nella casta che depone le uova. Questa strada sembra dimostrata dalla specie Formica sanguinea, che è una schiavista facoltativa: può schiavizzare colonie di Formica fusca ma può vivere bene anche da sola, infatti le operaie sono ancora perfettamente capaci di gestire autonomamente la colonia. Probabilmente F. sanguinea è uno stadio intermedio tra una specie a vita libera e una schiavista.

Capo di Formica sanguinea, esemplare conservato. Notare le mandibole dotate di dentelli e quindi adatte al lavoro (da antweb.org, © 2017 California Academy of Sciences. All rights reserved.)

Un’altra possibilità è rappresentata da un particola comportamento chiamato parassitismo intraspecifico, che rientra nei comportamenti di dominanza. Le colonie più grandi possono attaccare quelle più piccole che si trovano nei dintorni per eliminare la concorrenza, catturando e portanto nel proprio nido esemplari che hanno funzioni particolari. Ne è un esempio la formica “otre di miele” del genere Myrmecystus: alcuni esemplari stivano nel proprio ingluvie (una storta di stomaco dilatabile) grandi quantità di liquidi zuccherini fino a gonfiare enormemente i propri gastri (cioè gli addomi delle formiche). In caso di attacco, le formiche otri vengono catturate e portate nel nido della colonia assalitrice in uno schiavismo intraspecifico, cioè all’interno della stessa specie.

 Una terza via potrebbe passare attravero dei comportamenti di predazione: può capitare che delle colonie attacchino quelle limitrofe (anche si altre specie) per predarne la covata. Larve e pupe trafugate potrebbero svilupparsi e integrarsi nella colonia rapitrice se le due specie sono strettamente imparentate e quindi usano messaggeri chimici molto simili.

Il nostro viaggio nel mondo delle formiche purtroppo finisce qui. Spero di aver suscitato il vostro interesse su un gruppo di animali che diamo per scontato e che spesso è considerato insignificante, ma che in realtà è molto affascinante. Alcuni comportamenti tipici delle formiche ricordano molto da vicino i nostri, infatti solo le formiche coltivano il loro cibo o allevano altri animali a scopo alimentare (vedere il primo articolo della serie), come facciamo noi. E bisogna anche spezzare una lancia a nostro favore: le formiche sono gli animali più aggressivi e brutali che esistano e se avessero a disposizione armi come le nostre avrebbero molto probabilmente già distrutto il pianeta.

Ivan Berdini

Zoologo e appassionato di fotografia