Come funziona una batteria?

Una batteria, o più propriamente pila, è un dispositivo elettrochimico che ormai è entrato pesantamente nella nostra vita quotidiana. Questi dipositivi fanno funzionare i nostri cellulari, le lampade portatili, le automobili (ne permettono l’avvio), i computer (sia portatili che fissi, che montano una piccola batteria fondamentale per mantenere la configurazione) e tantissimi altri ritrovati della tecnica dei quali non possiamo più fare a meno. Ma vi siete mai chiesti come esattamente funzioni una batteria?

3d illustration of two large black and gold batteries lying in front of a thick framed pulse monitor graphic

Cos’è una pila?

Una pila permette di ricavare energia elettrica da una reazione chimica chiamata ossidoriduzione (o anche redox): una sostanza perde elettroni (si riduce) e li trasferice a un’altra che li riceve (si ossida), trasportando una certa quantità di energia. La configurazione della pila permette di intercettare il flusso di elettroni tra le due sostanze, che  costituisce la corrente elettrica che alimenta il circuito cui la pila è collegata.

Questi dispositivi hanno sempre due poli, chiamati elettrodi: uno positivo (il catodo), in cui avviene la riduzione, e uno negativo (l’anodo) in cui avviene l’ossidazione. Per capire meglio osserviamo questo schema:

Da Wikipedia

Nel contenitore a sinistra si ha una soluzione di solfato di zinco, mentre in quello a destra si trova solfato di rame. A sinistra si trova immersa una barra di zinco (la barra verticale rossa), mentre a destra c’è una barra di rame, collegate tra loro da un conduttore elettrico. Il “ponte salino” è un tubo riempito con una soluzione acquosa di nitrato di potassio, che serve a mentenere l’elettroneutralità tra le due soluzioni, senza la pila non potrebbe funzionare. Questo apparato è detto cella, i singoli contenitori sono semicelle.

Il segreto è la chimica!

Nell’anodo lo zinco solido della barra passa in soluzione liberando due elettroni per ogni atomo, che diventa uno ione di zinco carico positivamente. Gli elettroni passano attraverso il conduttore fino al catodo, dove vengono “catturati” dagli ioni positivi di rame, che diventano atomi neutri e si legano alla barra metallica di rame. Finché la reazione va avanti, la pila fornisce elettricità e questo può avvenire solo se le due semicelle sono in disequilibrio. Quando invece la reazione raggiunge l’equilibrio la corrente cessa e la pila si dice esaurita o esausta. La reazione completa è la seguente:

Zn(s) + Cu2+(aq) → Zn2+(aq) + Cu(s).

La rezione è descritta dall’equazione di Nernst: Dove:

  • E0 è il potenziale standard di riduzione, che cambia in base alle specie chimiche coinvolte.
  • R è la costante dei gas.
  • T è la temperatura assoluta, rigorosamente in gradi Kelvin ().
  • F è la costante di Faraday.
  • n è il numero di elettroni scambiati.
  • ln sta per logaritmo naturale (non serve che vi presenti i logaritmi, vero?).
  • aox è l’attività della soluzione in cui avviene l’ossidazione, elevato a vox (il suo coefficiente stechiometrico).
  • ared è l’attività della soluzione in cui avviene la riduzione, elevato a vred (il suo coefficiente stechiometrico).

Può sembrare complicata, ma in realtà non lo è: quando studiavo per l’esame di chimica generale della laurea triennenale ne ho calcolate decine e alla fine era diventato un processo abbastanza automatico. Certo, per poterla padroneggiare servono delle conoscenze di base di chimica e medie di matematica, ma in fondo c’è roba molto più complicata.

Un po’ di storia

Pila di Volta (da Wikipedia)

La prima pila in assoluto fu realizzata nel 1799 da Alessandro Volta (il nome dell’unità di misura della differnenza di potenziale e della tensione elettrica, Volt, è dato in suo onore) ed era una vera e propria pila, in senso letterale. Era costituita da una serie di dischi sovrapposti secondo una precisa configurazione: un disco di zinco, un disco di tessuto imbevuto con una soluzione acquosa di acido solforico, un disco di rame, ripetuta più e più volte. Ogni serie di zinco-tessuto-rame costituisce una cella, quindi la pila di Volta è effettivamente una pila di celle che genera una differenza di potenziale tanto maggiore quanto maggiore è il numero di celle collegate insieme.

L’equazione di Nernst ci dice che ogni tipo di cella può fornire una differenza di potenziale ben precisa, quindi per ottenere un valore di voltaggio più alto è necessario mettere in serie un certo numero di celle.

La batteria è un dispositivo pressoché uguale alla pila, cioè formato da più celle in serie. La differenza sta nel modo in cui sono dispose: l’una accanto all’altra invece che sovrapposte.

Nel corso del tempo sono state sviluppate batterie che sfruttano specie chimiche differenti da zinco e rame, cosa che ha permesso di costruirne di ogni forma e dimensione. Sono stati usati “ingredienti” come diossido di manganese, grafite, litio, idrossido di potassio, nitrato di zinco, nichel, argento, mercurio, piombo, cadmio e svariati altri.

Le batterie sono soggette a esaurimento della carica con l’utilizzo, una volta esauste sono da sostituire. Mi raccomando: MAI gettarle nel contenitore dei rifiuti, vanno sempre riciclate perché smaltirle in modo scorretto è molto inquinante. Per questo motivo l’Unione Europea ha vietato l’utilizzo di pile contenti cadmio o mercurio, che sono molto tossici.

Pile primarie e secondarie

Il tipo di batterie classico è detto primario e una volta esaurita la carica sono da sostituire. Il problema è stato in parte risolto grazie alle batterie secondarie. La chimica su cui si basano è simile a quella delle batterie primarie, con la fondamentale differenza che possono essere ricaricate, cioè è possibile invertire la reazione chimica per immagazzinare di nuovo energia al loro interno applicando una corrente elettrica ai poli. Purtroppo però questo tipo di batterie ha parecchi difetti:

  • Si scaldano durante la ricarica e se sottoposte a carica troppo violenta possono esplodere.
  • Alcune tipologie si deteriorano se si scaricano completamente.
  • Altre si deteriorano se vengono ricaricate prima che il livello di carica sia sceso sotto una certa soglia.
  • Le batterie al litio possono essere ricaricate solo un numero fisso di volte prima di perdere drammaticamente efficacia, addirittura iniziano a deteriorarsi appena assemblate, ancora prima di lasciare la fabbrica.
  • Alcune, come quelle al piombo delle automobili, hanno una bassa densità energetica e quindi sono molto pesanti.

Comunque, al netto dei difetti, le batterie ricaricabili possono essere usate al posto di quelle monouso nella maggioranza delle applicazioni, con un guadagno in termini di inquinamento dato che possono essere usate centinaia di volte prima di essere sostituite.

Negli ultimi anni si sono diffuse moltissimo le batterie al litio nonostante siano molto delicate e soggette a deterioramento, infatti è raro che possano essere usate per più di un paio di anni (la ricerca sta tentando di risolvere questo problema). Sono molto apprezzate per via della loro elevata densità energetica (cioè la grande capacità di immagazzinare energia a parità di volume con un altro tipo di accumulatore) e quindi si adattano molto bene ad alimentare cellulari o computer portatili, ovvero applicazioni per cui servono batterie capienti ma leggere. Un altro grosso problema del litio è la sua disponibilità, infatti è un elemento costoso da trattare date le sue caratteristiche: è molto reattivo e si ossida velocemente a contatto con l’aria e nell’acqua forma idrossido di litio, quindi in natura non si trova mai allo stato puro nonostante sia relativamente comune (è più comune di metalli più famosi e di più ampio utilizzo come il piombo, il tungsteno, l’oro o il mercurio) e di conseguenza va sempre estratto da minerali in cui è legato ad altri elementi utilizzando procedimenti chimici. In pratica è un motivo in più per riciclare le batterie al litio esauste!

Scommetto che ora non guarderai più un’umile batteria con gli stessi occhi: non credevi che fossero così complicate, vero?

Ivan Berdini

Zoologo e appassionato di fotografia