Salvare il mondo ai tempi del NIMBY
Negli ultimi tempi l’opinione pubblica e i media ritengono che sia necessario salvare l’ambiente e il mondo dalla distruzione. In realtà sembra che sia più urgente salvare il mondo dal NIMBY.
Occorre salvare il mondo?
Facciamo un riassunto per i più distratti. Sulla Terra ormai ci sono oltre 7 miliardi di nostri simili, che necessitano quindi di cibo e altre risorse per vivere. Già solo la produzione di cibo per tutti comporta un peso enorme sull’ambiente, semplicemente perché ogni cosa che mangiamo va prelevata dalla biosfera.
La biosfera è l’insieme di tutti gli organismi che vivono sulla Terra, dai batteri fino ad arrivare a noi, compresi funghi, piante e tutti gli altri organismi meno famosi. La biosfera è formata da molti tipi di ecosistemi, ognuno dei quali può essere valutato in base a un paramentro fondamentale chiamato biodiversità. Maggiore è la biodiversità di un ecosistema e migliore è la sua salute.
La produzione di cibo in tutte le sue diverse forme (agricoltura, caccia, pesca, ecc.) preleva risorse ed energia dagli ecosistemi e questo ha un certo impatto sulla biodiversità. Per esempio la conversione di una foresta in un campo coltivato causa un’alterazione dell’ambiente locale che ha un impatto sulla biodiversità dell’area.
Il problema è che noi necessitiamo della biodiversità per la nostra sopravvivenza, perché solo degli ecosistemi in salute possono produrre tutto ciò che ci serve. Mi rendo conto che questo concetto sia un po’ antropocentrico, ma ha il pregio di arrivare dritto al punto. E poi, in fondo, non è importate il motivo per cui si salvaguardi la biodiversità, ma è importante che lo si faccia.
L’impatto dell’attività antropica
L’attività della nostra specie ha sempre avuto un impatto sugli ecosistemi e sulla Terra in generale, ma ovviamente questo peso è aumentato al crescere della popolazione umana e della capacità di modificare l’ambiente dataci dalla tecnologia.
Elencare e analizzare tutti i tipi di impatto che l’attività antropica ha sulla Terra sarebbe estremamente lungo ed esula dalla trattazione del presente articolo. Diciamo che il nostro peso ormai si sente bene ed necessario intervenire per arrestare la perdita di biodiversità per vari motivi, primo fra tutti la nostra stessa sopravvivenza.
Tuttavia non è tutto perduto: siamo ancora in tempo per evitare una catastrofe, nonostante i media e una parte della stessa comunità scientifica siano diventati molto catastrofisti, forse nella speranza di sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica. Tale approccio però è rischioso, perché può provocare un rifiuto della tematica e quindi un effetto contrario a quello desiderato.
L’aumento della concentrazione di anidride carbonica
Il problema che maggiormente preoccupa l’opinione pubblica è quello del cosiddetto “cambiamento climatico”, generato dall’aumento della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera della Terra.
Ovviamente si tratta di una semplificazione esagerata, perché la definizione cambiamento climatico ha poco senso e poi l’anidride carbonica non è il solo gas che induce l’effetto serra. L’effetto serra è un fenomeno indotto dalla presenza nell’atmosfera terrestre di gas come l’anidride carbonica, il vapore acqueo (può sembrare strano, ma il vapore acqueo è uno dei gas serra più potenti) e il metano; questi gas trattengono nell’atmosfera parte del calore che riceviamo dal Sole. In sé è un fenomeno benefico: senza effetto serra la temperatura media della Terra sarebbe compresa tra -10°C e -20°C. Inoltre il clima della Terra è sempre cambiato nel corso della sua storia, anche in modo molto sostenziale, alternando periodi caldi a periodi freddi.
Il problema nasce quando l’attività antropica immette grandi quantità di anidride carbonica in atmosfera, come conseguenza dell’estrazione di energia bruciando combustibili fossili come carbone, petrolio e metano. La variazione della concentrazione di anidride carbonia perturba il sistema climatico e secondo le informazioni in nostro possesso ciò potrebbe avere vari effetti negativi sul clima planetario.
Senza voler entrare nel dettaglio si può affermare che le emissioni di anidride carbonica vadano diminuite. Il problema però sta nel fatto che secondo l’opinione pubblica basti diminuire la concentrazione di anidride carbonica per risolvere tutto. Ma non è affatto così: ci sono molti altri problemi da considerare, e la distruzione del’habitat è uno di questi. Le energie rinnovabili che tanto vanno di moda non ne sono affatto esenti.
L’impatto ambientale delle energie rinnovabili
L’opinione pubblica e i decisori politici spingono affinché si sostituiscano le fonti energetiche rinnovabili a quelle fossili, così da diminuire le emissioni di gas serra. Tuttavia la perfezione non esiste: anche le fonti rinnovabili hanno un prezzo da pagare, ossia un impatto ambientale.
Prendiamo per esempio l’energia idroelettrica, che consiste nello sbarrare un fiume creando un lago artificiale. In questo modo si può costringere l’acqua del fiume ad attraversare delle turbine per produrre elettricità. Il problema è che la creazione di un lago in questa maniera causa un’enorme devastazione ambientale localizzata nella valle dove è stata costruita la diga: l’idrologia superficiale viene sconvolta, così come quella profonda; l’habitat precedente alla formazione del lago viene cancellato; il microclima locale viene profondamente alterato; le popolazioni animali presenti nel fiume vengono frammentate e danneggiate. Il lipote (Lipotes vexillifer) è un ottimo monito al peso sull’ambiente di questa tecnologia. Si tratta di un delfino d’acqua dolce tipico del del Fiume Azzurro (Cina), che si è molto probabilmente estinto in seguito alla costruzione della Repubblica Popolare Cinese della diga delle Tre Gole.
L’energia eolica è invece devastante per l’avifauna. Nel nostro paese sono molti i casi documentati di uccelli colpiti e uccisi in volo dalle pale dei generatori eolici. Tale problema affligge maggiormente gli uccelli di grandi dimensioni, che spesso sono anche quelli più minacciati, come per esempio l’aquila reale.
Anche l’energia solare fotovoltaica ha un elevato impatto ambientale, molto più di quanto si pensi. In primis perché la produzione dei pannelli fotovoltaici è molto inquinante, così come lo è il loro smaltimento quando giungono alla fine della vita operativa. Ma i campi fotovoltaici hanno anche un importante impatto ambientale legato alla distruzione dell’habitat: trasformare un campo coltivato, un campo incolto o un fazzoletto di bosco in una distesa sterile di acciaio, silicio e cemento non è certo un’attività ecocompatibile.
Le fonti energetiche sopracitate hanno poi un altro problema: sono discontinue, cioè forniscono quantità di energia differenti in base al momento della giornata, alle condizioni atmosferiche o in base alla stagione. Non garantiscono quindi una fornitura costante di elettricità ed è necessario costruire molti impianti in aree differenti per sopperire al problema.
Ma allora cosa possiamo fare?
Sembra un problema senza soluzione, ma in realtà non lo è. La cosa più logica da fare sarebbe quella di usare la tecnologia nel modo più oculato possibile, razionalizzando l’uso del territorio. Per esempio, l’energia fotovoltaica è incompatibile con le campagne, ma ha perfettamente senso applicare pannelli solari agli edifici, sia in aree urbane che in campagna.
Un’altra soluzione consiste nel costruire pochi impianti ma particolarmente potenti utilizzando la migliore tecnologia disponibile. In questo modo si potrebbe avere una grande quantità di energia riducendo al minimo lo spazio necessario e quindi riducendo al minimo la distruzione della biodiversità. Negli ultimi decenni la Scienza e la ricerca hanno prodotto nuove tecnologie o migliorato quelle esistenti portandoci proprio in questa direzione.
L’energia solare a concentrazione prevede di utilizzare degli specchi per concentrare il calore del Sole su alcuni tubi presenti sui pannelli. Questa tecnologia è molto più efficiente del classico fotovoltaico e quindi permette di produrre più energia occupando meno spazio. Tecnologie ispirate a questo concetto possono anche essere applicate ad altri settori industriali, come per esempio la produzione del cemento o la metallurgia, abbassando le emissioni di anidride carbonica di queste lavorazioni.
L’energia geotemica invece consiste nel produrre energia elettrica sfruttando il calore che naturalmente arriva dall’interno del pianeta. Si tratta di una tecnologia piuttosto antica, infatti è stata sviluppata per la prima volta a Larderello (Toscana), nel primo decennio del XX secolo. Negli anni l’avanzamento tecnologico ha permesso notevoli miglioramenti, facendone una delle più potenti energie rinnovabili disponibili. Inoltre si tratta di una delle pochissime fonti rinnovabili costanti nel tempo.
Anche l’energia nucleare offrirebbe prospettive interessanti per due motivi. Il primo è che la tecnologia a fissione attualmente disponibile non emette nessun tipo di gas a effetto serra ed è la fonte energetica più potente conosciuta. Quindi nell’ottica di diminuire le emissioni di gas inquinanti sarebbe perfetta. Il secondo motivo sta nel fatto che la tecnologia nucleare a fusione è attualmente in sviluppo e potrebbe essere disponibile entro pochi decenni. La tecnologia già disponibile potrebbe essere un buon compromesso per diminuire le emissioni di anidride carbonica, in attesa di avere i reattori a fusione nei prossimi decenni.
So cosa stai per dire: l’energia nucleare è pericolosa! Davvero? Cerchiamo di scoprirlo grazie ai freddi numeri: quanti incidenti nucleari ci sono stati nella storia? Dal 1945 a oggi si sono verificati sedici incidenti di varia natura, di cui solo due con conseguenze a lungo termine. Gli incidenti petroliferi dagli anni ’40 a oggi sono stati ben settantasette (77). In base a questi numeri, il petrolio sembra ben più pericoloso dell’energia nucleare. Insomma credo sarebbe il caso di ragionarci sopra maggiormente prima di buttarla via del tutto, come invece purtroppo sta avvenendo in varie parti del mondo.
Il problema del NIMBY
N.I.M.B.Y. è un acronimo che sta per not in my backyard, ossia “non nel mio cortile”, e rappresenta il maggiore ostacolo all’adozione di tecnologie che non immettono in atmosfera gas a effetto serra.
Si tratta di un’espressione che sta a indicare la tendenza delle popolazioni locali a opporsi strenuamente alla costruzione di qualunque nuova infrastruttura. Tale protesta può sfociare addirittura nella violenza e in disordini sociali anche gravi. Si tratta di un fenomeno talmente vasto che alcuni parlano addirittura di “sindrome NIMBY”, che porta le popolazioni a rifiutare persino la costruzione di impianti come i depuratori delle acque reflue, essenziali per contenere l’inquinamento di mari, laghi, fiumi e falde. Al NIMBY è correlata la diffusione massiccia di enormi quantità di disinformazione, principalmente attraverso la rete ma anche sui media tradizionali. Un ulteriore esempio di come le notizie false (le cosiddette fake news) possano alterare l’opinione pubblica tanto da causare ingenti danni alla collettività.
In Italia è un fenomeno che ha raggiunto proporzioni drammatiche, talmente vaste da bloccare interi settori e impedire la costruizione di opere che in realtà sarebbero essenziali per il contenimento dell’impatto ambientale delle attività umane. Per esempio tra la Toscana e il Lazio sono numerosi i comitati di persone che vorrebbero impedire la costruizione di nuovi impianti geotermici e addirittura vorrebbero al chiusura di quelli già esistenti. Un altro caso interessante è quello delle proteste contro la suddetta energia solare a concentrazione, tecnologia in cui il nostro paese è all’avanguardia senza però poter costruire nessun impianto. È di pochi giorni fa la notizia dello scioglimento dell’associazione di categoria del solare a concentrazione; in pratica le parti interessante hanno definitivamente rinunciato alla costruzione di impianti di questo tipo in seguito alla fortissima opposizione delle popolazioni e dei rappresentanti politici locali in cerca di facili consensi.
In tutto questo c’è qualcosa di tremendamente sbagliato: non è possibile diminuire le emissioni di anidride carbonica senza sostituire gli impianti a energia fossile con qualcos’altro. Eppure, pur volendo salvare il mondo dall’anidride carbonica, l’opinione pubblica si oppone alle azioni che permetterebbero di avvicinarsi a tale obbiettivo.
Si tratta di un incredibile paradosso che riesce difficile spiegare, eppure il NIMBY è una realtà estremamente diffusa nel nostro Paese.
Forse prima di tutto occorre salvare il mondo dal NIMBY, e poi pensare al resto.