Il silfio, la pianta perduta dell’epoca greco-romana

Il silfio era una pianta che i greci e i romani usavano come medicinale e come condimento. Cresceva in nell’Africa mediterranea ma se ne sono perse le tracce. Forse è estinta?

Che cos’era il silfio?

Nell’antica Roma esisteva una pianta più preziosa dell’oro, che fece la fortuna di quella che all’epoca era la provincia della Cirenaica (oggi parte dell’odierna Libia). Questa pianta era chiamata “silfio” (silphium per i greci, conosciuta dai romanicome laserpicium) ed era utilizzata per preparare medicine e un condimento molto apprezzato dai palati dei romani e dei greci dell’epoca.

Moneta raffigurante il silfio

Il silfio era così importante che la sua immagine fu addirittura impressa sulle monete della provincia Cirenaica, ossia il principale luogo di coltivazione e produzione di questa pianta.

I suoi erano molteplici. Per esempio i suoi steli cotti erano consumati come verdura, sorte che toccava anche alle radici; la linfa era essiccata in cubetti (chiamati laser) usati poi per insaporire le pietanze. Era diffusa l’idea che nutrire delle pecore con il silfio ne avrebbe migliorato il sapore delle carni.

Si usava anche in medicina, per esempio per trattare ferite di vario genere. Addirittura c’era chi lo consigliava come afrodisiaco.

Visti quanti usi avesse non è difficile capire per quale motivo la pianta divenne tanto preziosa, eppure è scomparsa nelle nebbie del tempo nonostante il suo grande valore. Com’è stato possibile perderla?

Possibile inquadramento tassonomico del silfio

Dato che non si hanno campioni di questa pianta è piuttosto difficile ricondurla a una qualche specie. Si hanno solo poche raffigurazioni, come quella sulla moneta riprodotta qui sopra. Dalle informazioni in nostro possesso sembra che fosse una pianta erbacea, forse alta più di un metro, che aveva delle infiorescenze a forma di ombrello sulla sommità. Per alcuni autori i semi avevano una forma che ricordava un cuore.

Ferula assa-foetida nel deserto dell’Uzbekistan (By Patrick Verhaeghe – https://www.flickr.com/photos/28314792@N05/27863569178/, CC0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=102489204)

Con le informazioni disponibili è stato possibile ipotizzare che il silfio appartenesse alla famiglia delle Apiaceae (meglio note come Umbrellifere) e quindi c’è una probabile parentela con le carote, la cicuta, l’assafetida o il finocchio. Probabilmente apparteneva al genere Ferula, come l’assafetida (Ferula assa-foetida), anch’essa usata dagli antichi romani come condimento. Il nome scientifico del silfio potrebbe essere Ferula laserpicium, ma è da prendere con le molle trattandosi di una specie mai classificata ufficialmente dai botanici.

Oggi in India si ricava dall’assafetida una resina che viene fatta solidificare e poi viene grattugiata come condimento; l’aroma è molto forte e simile a quello dell’aglio. Questo uso dell’assafetida ricorda molto da vicino i cubetti di laser degli antichi romani.

Come può una pianta sparire?

Di solito una specie scompare quando si estingue o diviene talmente rara da non essere più trovata facilmente, quasi come se si nascondesse. A questo proposito infatti ci sono molti esempi di specie ritenute estinte e poi ricomparse dopo qualche anno, magari dopo un aumento numerico della popolazione che ha potuto prosperare indisturbata per un certo periodo (qui ci sono alcuni esempi di specie ricomparse dopo la dichiarazione della loro estinzione).

Il silfio cresceva solo nella fascia costiera della Cirenaica, in Africa settentrionale, quindi è una possibilità plausibile che lo sfruttamento eccessivo possa averne provocato l’estinzione. Poteva essere una pianta difficile da coltivare che necessitava di caratteristiche climatiche o pedologiche (ovvero il tipo di suolo) presenti solo nella Libia costiera. Secondo alcuni autori romani infatti il silfio non poteva essere coltivato e si trovava solo come pianta selvatica, questo avvalorerebbe la teoria dell’estinzione per eccessivo sfruttamento. C’è anche la possibilità che a determinare l’estinzione della specie sia stato il progressivo inaridimento della costa mediterranea dell’Africa, che ha quindi modificato le condizioni necessarie al silfio per prosperare; magari era già una pianta residuale e relegata nell’areale cirenaico dai combiamenti climatici occorsi dopo la fine della glaciazione würm, che hanno provocato la formazione del deserto del Sahara in Africa settentrionale.

E se il silfio esistesse ancora?

Le teorie che ipotizzano l’estinzione del silfio per cabiamenti climatici o per eccessivo sfruttamento sono certamente plausibili, ma quella dell’estinzione non è la sola possibilità.

Forse il silfio esiste ancora, solo che ne abbiamo perso la memoria. Come già accennato, in India si usa l’assafetida come condimento nello stesso modo in cui i romani usavano il silfio, e l’assafetida è una pianta molto simile al silfio che è stato attribuito al genere Ferula (lo stesso dell’assafetida). E sappiamo che il condimento che si ricavava dal silfio era in forma prodotto a partire dalla linfa essiccata della pianta. Come coincidenze sono abbastanza interressanti.

Alla luce di queste informazioni si può azzardare un’altra ipotesi: in realtà il silfio non è affatto estinto ma si tratta di quella che oggi è nota come assafetida. Forse a essere chiamato “silfio” era semplicemente una varietà di assafetida che cresceva in cirenaica, con caratteristiche uniche per via delle particolari condizioni climatiche della regione. Anche quest’ultima è una teoria plausibile, esattamente come quelle che riguardano l’estinzione della specie. Oppure il silfio potrebbe essere semplicemente una pianta oggi conosciuta con un altro nome, che potrebbe anche essere rara nella nostra epoca; in questo caso ad andare perduta non sarebbe stata la specie ma semplicemente la sua memoria storica.

Quello del silfio è un “vero mistero”, destinato a rimanere tale finché non ci saranno ritrovamenti archeologici che aggiungeranno maggiori informazioni. Chissà, magari un giorno sarà trovata una tomba intatta con dei vasi contenenti semi di silfio e allora sarebbe possibile svelare il mistero sequenziandone il DNA. Per ora possiamo solo fare ipotesi e restare affascinati dai segreti che la storia sembra ancora custodire gelosamente.

Ivan Berdini

Zoologo e appassionato di fotografia